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MONTEROTONDO – Simone Di Ventura, 28 anni, laureato in giurisprudenza, imprenditore, è il candidato sindaco di una coalizione ampia di centro destra, espressione però di un civismo incontrato strada facendo. Dopo le delusioni arrivate dal Pd post renziano. Di Ventura racconta di avere toccato con mano la regressione di cui il Partito democratico, al quale si era avvicinato con entusiasmo nel 2014, è rimasto vittima dopo la caduta dell’ex sindaco di Firenze. Tornando a vestire le sembianze del Pds, Ds e dell’apparato immortale ex Pci, tradendo la vocazione riformista di quanti, nel cambiamento, avevano creduto. Così, nel 2018, è arrivata la decisione di abbandonare il partito e il gruppo consiliare. Le dimissioni e le prese di distanza sono state anche la naturale conseguenza di lontananze ormai incolmabili con la dirigenza locale.

Lei questa regressione l’ha toccata con mano anche a livello locale?

«Basta leggere i nomi dei dirigenti del Pd di Monterotondo. Con il trascorrere del tempo mi sono accorto che negli assetti interni c’èra spazio solo per nuove gemmazioni. Il partito è il loro ed è un luogo dove le posizioni critiche vengono subito isolate, via via espulse. Sono il corpo estraneo che può produrre, a lungo andare, quelle aperture democratiche, di vero ricambio generazionale, che temono. Preservare il potere è l’unico obiettivo che perseguono veramente. Credo che generazioni di ex simpatizzanti sappiano di cosa parlo. Al comando ci sono Lucherini, Bracchi, Lupi, Alessandri, Ruggeri, ora tocca a Riccardo Varone. L’ultimo delfino di un sistema che si tramanda per gemmazione. La mia è una valutazione politica e non personale. La denuncia di un gattopardismo evidente che connatura questo partito e la classe dirigente che esprime. Cambiano i nomi, resta l’obiettivo: mantenere il controllo della macchina comunale e con essa il potere. A qualunque costo».

Varone è il suo sfidante nel ballottaggio di domenica 9 giugno. Lei gli ha anche lanciato la sfida per un confronto pubblico…

«Trovo incredibile che chi si candida a una carica pubblica rifugga ogni occasione di pubblico confronto con gli avversari. Era già successo durante il primo turno di questa elezione comunale. Io al contrario avrei messo in gioco le mie idee, i programmi in una comparazione con gli altri. Nella negazione di Varone ci hanno perso i cittadini che sono stati privati di un vero momento di democrazia. La politica, per chi la esercita nelle istituzioni, nella amministrazione, candidandosi alla guida del governo cittadino, deve avere una naturale dimensione pubblica che passi necessariamente per il confronto con gli avversari. Chi nega questa dimensione, nega ai cittadini la possibilità di formarsi una opinione».

Torniamo al sistema di potere che soffoca il normale svolgimento della vita democratica e crea opacità nella gestione della macchina amministrativa…

«Ho parlato non a caso di incrostazioni di potere. Assessori nominati da 20 anni negli stessi settori, nessuna rotazione del personale in violazione della normativa, una mescolanza tra indirizzo e gestione che non può essere più tollerata. A pagare le conseguenze di questo sistema sono i cittadini in termini di cattiva qualità dei servizi offerti. Anche nella società controllata dall’Ente c’è una scarsa trasparenza di gestione. E le scelte adottate avvengono in deroga alla normativa, assunzioni senza concorso e per chiamata diretta. Credo che all’interno della multiservizi si sia operata una vera discriminazione sulle assunzioni, penso a quelle competenze tagliate fuori dall’opportunità di avere un posto di lavoro. La conduzione dell’azienda è stata purtroppo condizionata da una gestione complessivamente partigiana da parte della sinistra e del suo presidente Paolo Bracchi».

A proposito di Apm, nel suo programma lei parla di rivoluzione per l’azienda

«Sull’Apm hanno fatto demagogia spicciola, disinformazione, fino alla calunnia di una mia volontà di privatizzarla. È assolutamente falso. Penso invece che vadano operate scelte chiare, rispettose delle normative di riferimento e dei cittadini che pagano per i servizi. Per questo intendo ridiscutere tutti i contratti di servizio, aumentare la qualità delle manutenzioni. L’azienda deve essere finalmente autonoma e svincolata dai diktat del Pd, un partito che ha occupato politicamente ogni rivolo di Apm, dove il suo presidente, contro ogni opportunità, è sceso militarmente in campo nella campagna elettorale, trasformandosi nel primo tifoso di Riccardo Varone».

Insomma, in vista del 9 giugno la parola chiave è Liberazione?

«È una parola bellissima. La più auspicabile. Dopo oltre 70 anni dovrebbe andare in coppia con un altro termine che amo: alternanza. Mi sento un po’ Davide contro Golia, più che una campagna elettorale la mia è stata una guerra contro calunnie e falsità. Hanno tentato di delegittimarmi e infangarmi in tutti i modi, ma io vado avanti. Lo faccio perché sono convito che alla fine del tunnel c’è sempre la luce, e questa città non può non uscire dal buio. In questi mesi ho lottato per qualcosa che deve venire, che non può non venire, per questo mi aspetto che i cittadini il 9 giugno mi diano fiducia».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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